La telefonata è arrivata inaspettata, dall’altra parte si chiedeva: “Potete accogliere un gruppo di persone afghane?” La Cooperativa “Una città non basta“, da anni impegnata in progetti di accoglienza e inclusione, ha risposto: “Sì”. C’era solo una risposta possibile, racconta Issam, operatore siriano della cooperativa, ed è era quella dell’accoglienza. Tutto il resto si sarebbe affrontato in qualche modo.
La cooperativa dispone di alcuni locali che solitamente utilizza per progetti sociali e di accoglienza presso un antico monastero di clausura domenicano.
“Quando arrivano?” “Domani”. In realtà, c’è stato qualche giorno di tempo in più per organizzarsi, ore in cui è scattata una gara di solidarietà: c’era bisogno di letti? E grazie al sostegno e collaborazione con il Movimento dei Focolari sono arrivati mobili, letti e tutto il necessari per arredare e abbellire la struttura. C’era bisogno di costruire una piccola cucina? Un falegname ha preso un vecchio tavolo e lo ha trasformato in un piano per cucinare.
“Tutto questo ha acceso l’entusiasmo di tutti noi e non ci siamo sentiti soli” raccontano gli operatori della Cooperativa. E così quattro stanze del monastero sono state adattate per accogliere i nuovi ospiti in un ambiente che fosse confortevole e dignitoso.
I dieci afghani, uomini e donne di età assai diverse, che fanno parte di un unico nucleo famigliare, hanno prima trascorso la necessaria quarantena prevista dalle norme anti Covid in una struttura messa a disposizione dal Movimento dei Focolari, poi sono arrivati a Marino.
Non avevano nulla con sé: erano saliti su un aereo in Afghanistan in fretta e furia, i tempi dettati dalla fuga da una situazione di estremo pericolo, per mettersi in salvo attraverso un corridoio umanitario. Spaesati, spaventati, incerti sono entrati nelle stanze di “Una città non basta” e da lì, ora, inizia per loro un nuovo cammino.
“Vivono un tempo come di sospensione – racconta Maria Rosaria, la presidente della cooperativa – non sanno quale sarà il loro futuro e stanno costruendo con noi giorno dopo giorno un rapporto di fiducia”.
Ci si inizia a conoscere anche dalle piccole cose, come il cibo. Al momento di acquistare un pollo, ad esempio, non è stato facile capire se il metodo di macellazione seguito per la carne fosse quello previsto dalla religione degli ospiti.
Per la lingua è stato prezioso l’aiuto di un operaio della cooperativa che è della stessa etnia delle persone ospitate e quasi tutti hanno fin da subito iniziato a seguire un corso di italiano tenuto da una volontaria di “Una città non basta”. Ora, si inizia a sentire qualche “ciao” e “come stai” quando li si incrocia nei corridoi dell’antico monastero. Nulla è semplice in questo momento. Le prime emergenze da affrontare sono i documenti, le visite mediche, le vaccinazioni, la scuola per i più giovani, e pian piano l’autonomia negli spostamenti.
Poi, l’inclusione. “Quando sono arrivati, ho detto loro che adesso sono persone libere” – racconta ancora la presidente della Cooperativa – “dopo la prima volta che siamo andati in questura per definire le procedure di richiesta di asilo, si sono un po’ tranquillizzati, è come se avessero scaricato la tensione e si sono aperti un po’ di più anche con noi”.
Le prossime settimane saranno decisive e grazie all’esperienza degli operatori della Cooperativa, gli ospiti accolti potranno avere tutta l’assistenza di cui hanno bisogno e iniziare il proprio percorso di inclusione e autonomia.