È bastata una mail con poche parole – “Aiuto siamo in pericolo di vita” – per far scattare di nuovo l’istinto alla solidarietà. “Potevamo dire di no?” chiede ora Issam, di Una città non basta, la cooperativa che accoglie profughi afghani e con la quale l’AMU collabora contribuendo economicamente all’assistenza perché questi possano intraprendere il loro percorso di inclusione in Italia.
La domanda è retorica. La risposta è nel tono, nei gesti, nella determinazione a trovare, sempre, una soluzione, purché accoglienza si faccia. E subito si sono attivati tutti, come era già accaduto ad agosto, poi di nuovo a novembre per le altre famiglie afghane.
“Come si fa a dire di no a una richiesta di aiuto? Non si può, è difficile, anche se a livello economico non sarebbe opportuno”. Ma è andata così. E alle sei del mattino del 21 aprile scorso gli operatori di Una città non basta erano all’aeroporto di Fiumicino per accogliere questa giovane coppia finalmente atterrata in Italia, “erano stanchissimi, dopo tutte i giorni trascorsi nel terrore di essere fermati, avevano gli occhi rossi, gonfi, ma erano contenti, piangevano dalla gioia”. Era da giorni che negli uffici di Una città non basta c’era una certa agitazione nell’attesa che i due potessero ottenere il permesso di espatrio dall’ambasciata italiana. La coppia non aveva trascorso giorni tranquilli prima di quel sì.
Scappati dall’Afghanistan, marito e moglie si erano rifugiati in Pakistan. Ma anche qui non erano al sicuro: il governo pakistano è amico dei talebani. Avevano paura che qualcuno li seguisse, per questo si spostavano in continuazione, ogni notte dormivano in un albergo diverso. Hanno trascorso una settimana così prima di rifugiarsi nell’ambasciata italiana in Pakistan.
A quel punto c’è stata la richiesta di aiuto, poi un fitto scambio di email con l’ambasciata, le necessarie verifiche, e nuovi contatti con la coppia. Dopo giorni di un silenzio che sembrava lunghissimo, l’ambasciata ha comunicato che il permesso di espatrio per l’Italia era stato accordato.
Ed ecco che il 21 aprile, qualche giorno dopo Pasqua, i due sono atterrati in Italia. “Li abbiamo subito portati qui a Marino, in quel momento avevano solo bisogno di dormire. Li abbiamo lasciati riposare. Verrà poi il tempo per ogni cosa”, racconta Issam, contento per questa ulteriore piccola vittoria dell’accoglienza. Quel giorno, uno dei giovani uomini afghani già ospitati nel centro di Una città non basta ha portato loro una tazza di tè. L’indomani, un’altra donna ha bussato alla loro porta per lasciare il pranzo. Anche questa è un’altra vittoria: l’accoglienza ha generato accoglienza.