La reciprocità, oltre l’emergenza

Nell’ Editoriale di  AMU Notizie 2-2021 Stefano Comazzi e Francesco Tortorella raccontano e spiegano l’impegno di AMU nella reciprocità oltre l’emergenza. Il mese di agosto 2021 rimarrà nella storia per il cosiddetto “ritorno al potere” dei Talebani in Afghanistan. Un evento che ha avuto molti effetti, tra i quali uno di cui non ci siamo […]

Nell’ Editoriale di  AMU Notizie 2-2021 Stefano Comazzi e Francesco Tortorella raccontano e spiegano l’impegno di AMU nella reciprocità oltre l’emergenza.

Il mese di agosto 2021 rimarrà nella storia per il cosiddetto “ritorno al potere” dei Talebani in Afghanistan. Un evento che ha avuto molti effetti, tra i quali uno di cui non ci siamo neanche accorti: farci dimenticare nel giro di due giorni del forte terremoto accaduto a Haiti e delle sue conseguenze.

Il 14 agosto le nostre orecchie ascoltavano le notizie da Haiti, la nostra mente rifletteva sul dramma di quella popolazione provata da numerose calamità, il nostro cuore batteva per quelle famiglie e molti di noi erano spinti a contribuire all’azione delle organizzazioni umanitarie per portare loro soccorso.

Il 16 agosto guardavamo le immagini delle persone in fuga da Kabul, la nostra mente rifletteva sull’idiozia della guerra, il nostro cuore batteva per le donne afghane e molti di noi cercavano organizzazioni a cui donare un contributo per accoglierle in Italia. Questo senso di com-passione è meraviglioso, è uno dei segreti per la sopravvivenza del genere umano. Ma far saltare il nostro cuore da un’emergenza all’altra, da un angolo all’altro del pianeta, un giorno dopo l’altro.

È proprio quello che serve all’umanità per vivere meglio?

Per noi che ci occupiamo di solidarietà internazionale per passione e per professione, il dilemma è forte: riconosciamo che non possiamo far tutto, che abbiamo energie e risorse limitate rispetto ai bisogni dell’umanità, e ci chiediamo se attivarci ogni mese per una nuova emergenza e lasciar perdere le emergenze e le persone di cui ci eravamo occupati fino al mese prima sia la cosa giusta da fare, quello che siamo chiamati a fare.

Facendo un po’ mente locale e solo negli ultimi mesi, la nostra attenzione è stata colpita prima dai profughi bloccati in Bosnia esposti al gelo e alla violenza delle forze di polizia, poi è riemersa forte la crisi libanese, anche a ridosso del primo anniversario della devastante bomba al porto di Beirut in agosto. E poi, come detto, i drammi della popolazione di Haiti e la tragedia afghana.

Il filtro dello schermo

Per noi a cui il mondo si presenta attraverso uno schermo, c’è una grossa differenza fra l’emergenza umanitaria improvvisa, dovuta a una catastrofe, e la situazione di sofferenza continuativa di chi non riesce a mangiare a sufficienza o a curarsi perché non ne ha i mezzi. Nel primo caso la sofferenza non dipende da noi spettatori, ma da una fatalità o – nel caso di conflitti armati – da scelte militari in cui non siamo coinvolti direttamente; nel secondo caso la sofferenza dipende dal sistema economico iniquo di cui anche noi siamo parte.

Rincorrere un’emergenza dopo l’altra non mette in discussione il nostro stile di vita, mentre occuparci con continuità e gradualità di accompagnare una popolazione verso il miglioramento della qualità della propria vita può portarci a ripensare il nostro tenore di vita – da cui dipende quello degli altri – a misurare i nostri bisogni su quelli degli altri, a condividere cose, tempo, energie, rapporti, per stare tutti un po’ meglio di prima.

È per questo che nell’AMU abbiamo deciso da tempo di dedicare le nostre energie soprattutto ad accompagnare i percorsi di sviluppo umano integrale delle popolazioni che – pur in assenza di una calamità improvvisa – soffrono la discriminazione del sistema economico iniquo in cui viviamo: chi ha una famiglia di cui occuparsi, ma non ha un lavoro e un reddito per farlo, chi non ha accesso all’acqua potabile, chi non ha mezzi per curarsi o per studiare.

Il faro della reciprocità

E lo facciamo in un modo particolare, tenendo come faro guida la reciprocità: creando relazioni, costruendo fiducia, rafforzando le capacità di dono reciproco delle persone e delle comunità, affinché una qualità di vita migliore sia il frutto dello sforzo collaborativo di tutti. Lavorare così richiede tempo, tempo e ancora tempo: conoscersi e ascoltarsi, capire i bisogni, individuare il potenziale di ciascuno e cercare insieme le strade migliori per il cambiamento.

Occorre un accompagnamento, non un saltare schizofrenico da una parte ad un’altra

Per questo oggi siamo ancora in Siria accanto a una popolazione che sta peggio di come stava durante gli anni delle bombe: perché tutta la macchina dell’aiuto umanitario internazionale, nel 2016 era già andata via dalla Siria, dietro ai finanziamenti che nel frattempo si erano spostati su nuove emergenze.

È impressionante camminare per le vie di Homs e leggere, una porta dopo l’altra, una targa dopo l’altra, nomi di progetti o agenzie umanitarie che sono state lì per 4 mesi, per 6 mesi, per 1 anno e poi via, come se le cose si fossero risolte.

Per questo continuiamo il nostro impegno in Burundi, dove l’AMU ha iniziato a intervenire dopo una spaventosa guerra. Grazie alla collaborazione con la ONG locale CASOBU, i nostri interventi nati per migliorare le condizioni di vita della popolazione, sono sempre più partecipati e condivisi dalle comunità locali. Attraverso i progetti per l’accesso all’acqua potabile o per generare attività lavorative tramite il microcredito comunitario, molte donne e uomini burundesi sono diventati protagonisti del proprio cambiamento e la presenza costante dell’AMU ha coinvolto e impegnato sempre più istituzioni e altre realtà locali ponendo le basi per uno sviluppo duraturo e sostenibile. Questa riflessione allora dove ci porta? A dire, forse, che non dovremmo aiutare chi da un momento all’altro perde tutto per una catastrofe? Certamente no, non è questo il punto.

Fare della com-passione una scelta di vita quotidiana

Vogliamo però riflettere insieme sulla necessità di fare della com-passione una scelta di vita quotidiana, stabile, duratura e continuativa. Questo potrebbe tradursi nello scegliere di collaborare stabilmente con un’organizzazione di solidarietà internazionale come l’AMU (ma ovviamente ce sono anche altre!), offrendo il nostro supporto continuativo e coinvolgendo le nostre risorse, la nostra mente e il nostro cuore in uno stile di vita di reciprocità. Significa conoscere le persone che supportiamo, magari visitandole nel loro Paese o accogliendole quando sono costrette – loro malgrado – ad emigrare da noi.

Significa impegnarsi affinché anche le istituzioni pubbliche ai vari livelli – fondamentali per rafforzare il cambiamento – siano impegnate e coinvolte per riuscire a portare il nostro agire dal livello della coscienza individuale a quella collettiva, attraverso azioni di cittadinanza attiva, attività di educazione alla cittadinanza globale e campagne di sensibilizzazione dell’opinione pubblica. Significa diventare partecipi quotidianamente di una famiglia estesa all’umanità che, attraverso le braccia qualificate dell’AMU e di altre organizzazioni, ogni giorno allarga l’orizzonte del nostro cuore su quello degli altri.

 

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