Zouk Mosbeh è una città costiera a nord di Beirut, in Libano. È in questa città che si muovono Samar, Eliane, Jessica e Grace, quattro donne, quattro madri, che lavorano per la medesima compagnia di assicurazioni. In Libano la crisi ha colpito duramente la classe media del Paese, la disoccupazione è più che raddoppiata, molte aziende private hanno chiuso, la corruzione è diffusa. Le infrastrutture e i servizi statali funzionano a stento, il che lascia il popolo libanese senza un piano di assistenza sanitaria. Mancano medicinali e molti beni di prima necessità. In un quadro sociale come questo il lavoro garantisce a malapena il minimo indispensabile per vivere. L’intervento di emergenza avviato dall’AMU, in collaborazione con Humanité Nouvelle Liban e il Vicariato Apostolico di Beirut, prevede sostegno e assistenza per le famiglie più vulnerabili attraverso la distribuzione periodica di casse di prodotti alimentari ed igienici e il supporto psicologico per alcune famiglie in difficoltà.
Samar è una beneficiaria e allo stesso tempo una volontaria del progetto. È stata lei la prima a parlarne in ufficio. Samar, Eliane, Jessica e Grace fino al 2021 riuscivano a gestire la crisi economica. Un lavoro stabile, la famiglia, i risparmi, i progetti per il futuro. Poi le circostanze sono cambiate, come ricorda Eliane, madre di due figli: “È la prima volta che la crisi colpisce la mia famiglia in maniera così dura. Mi ha commosso ricevere questa scatola (i prodotti alimentari e igienici del progetto, ndr). Di solito la gente ti auta nelle piccole cose, e non così, questi pacchi che stiamo ricevendo sono qualcosa di così grande!”. Jessica aggiunge una sua riflessione sul significato di “famiglia” soprattutto in tempi difficili: “Qui in Libano la famiglia rimane unita nonostante tutto. Ci insegnano a condividere ogni cosa gli uni con gli altri perché è così che sono sopravvissuti a tutte le grandi crisi in Libano”. Anche tra colleghe di lavoro si è famiglia: “All’inizio è stato il nostro capo a farci avvicinare, poi abbiamo scoperto che dietro a tutto questo c’era Samar. Quello che rende questo luogo di lavoro diverso dagli altri è il mettere gli esseri umani al primo posto, non siamo solo mezzi di produzione”.
La solidarietà sperimentata da queste donne oltrepassa le mura dell’ufficio, invade le loro vite private e diventa desiderio di reciprocità: “Queste scatole, questo cibo, dimostrano che ci sono ancora persone disposte a prendersi cura degli altri. E questa per me è una delle qualità più nobili degli esseri umani; ogni atto di gentilezza che compi, in qualche modo ti verrà restituito”. Anche Grace è d’accordo: “Stiamo tutti, senza eccezioni, attraversando momenti difficili. Ma Dio non ci abbandona. Stiamo facendo tutto il possibile perché ai nostri figli non manchi nulla. Mio marito era titubante sul fatto di ricevere questi pacchi, ma penso che in fondo non riusciva a credere come fossimo arrivati a questo punto. È difficile da accettare. Ma questo aiuto ci rende felici. Nei pacchi ci sono cibi preziosi, e quando è possibile li mettiamo a disposizione anche degli altri inquilini del nostro palazzo, è il nostro modo di ricambiare”.
La prima volta che un pacco del progetto sostenuto dall’AMU è arrivato in casa di Eliane, la cioccolata è stata la felicità dei suoi figli, Eliane stessa ha urlato per la gioia. Ed è con quest’ultima parola – gioia – che Jessica termina le sue riflessioni: “Sono convinta che l’intenzione che c’è dietro la distribuzione di queste scatole non sia solo quella di soddisfare i bisogni primari, ma molto di più: restituire alle persone un po’ di quella gioia andata persa a causa della crisi”.