Afghanistan, un popolo tradito

Alcune riflessioni e domande da tenere a mente per il futuro. Una tristezza infinta ci prende nel seguire le notizie che man mano ci vengono presentate dall’Afghanistan, il cui popolo è stato tradito e cinicamente abbandonato a se stesso. In fondo è un’altra puntata del drammatico ed infinito festival dell’ipocrisia che i nostri paesi occidentali mettono […]

Alcune riflessioni e domande da tenere a mente per il futuro.

Una tristezza infinta ci prende nel seguire le notizie che man mano ci vengono presentate dall’Afghanistan, il cui popolo è stato tradito e cinicamente abbandonato a se stesso.

In fondo è un’altra puntata del drammatico ed infinito festival dell’ipocrisia che i nostri paesi occidentali mettono in scena da decenni per ammantare di nobili motivazioni azioni che invece sono volte a perseguire interessi e politiche di espansione o mantenimento delle proprie sfere di influenza. Paradossalmente, e sottolineo il termine “paradossalmente”, è quasi preferibile la schietta sincerità delle potenze che invece hanno deciso di restare con i loro rappresentanti diplomatici (e chissà quali altri incaricati) nella spettrale Kabul e nelle aree più strategiche del paese.

Proprio due giorni fa moriva Gino Strada, la cui esperienza e competenza sull’Afghanistan sono incontestabili. Con il suo ultimo articolo pubblicato quel giorno su La Stampa “Così ho visto morire Kabul”, ha nuovamente denunciato l’ipocrisia e l’illegittimità di quella missione militare e ricordato anche le nostre responsabilità, quando nel novembre 2001 pressoché l’intero parlamento italiano votò a favore dell’intervento armato. Intervento criticabile sotto il profilo della legittimità costituzionale, ma che oggi, insieme a tutta la NATO Resolute Support Mission è certificato come un totale ed assoluto fallimento. Per l’ennesima volta, Strada ricorda che la maggior parte delle vittime dirette o indirette di questi conflitti sono i civili e che le immense risorse sprecate in questi anni non hanno portato alcun effettivo beneficio al popolo afghano.

La promozione della democrazia, dei diritti umani, dello sviluppo sociale ed economico di una nazione e delle tante comunità che la compongono, non sono compiti facili e non spettano ai militari.

Ciò che amareggia terribilmente non è tanto il fatto che noi del mondo delle ONGs avessimo ragione a criticare l’uso dei militari per compiti che non erano e non sono preparati ad affrontare, e nemmeno il costo spaventoso che ciò ha comportato sottraendo e negando invece risorse alle tante organizzazioni non governative che avrebbero potuto svolgere meglio tali compiti sia in termini di efficacia che di efficienza. Quello che brucia terribilmente è il tradimento perpetrato a spese di coloro che avevano creduto nei nostri valori ed hanno collaborato con i nostri rappresentanti in Afghanistan: un tradimento che avrà conseguenze molto profonde e prolungate per la perdita di credibilità e fiducia nei confronti dei nostri paesi, popoli ed istituzioni. Le affermazioni di ministri e capi di Stato che si affannano ad affermare che nessuno verrà abbandonato, che il nuovo regime deve assumersi le proprie responsabilità, ecc., avendo davanti le immagini di chi è stato schiacciato dagli aerei sulla pista di rullaggio all’aeroporto di Kabul, sono beffarde ed ipocrite.

Dopo Iraq, Libia, Siria, ed ora Afghanistan, quale sarà la prossima vittima sacrificale dell’arroganza di chi ha distrutto il multilateralismo nelle relazioni internazionali, di chi ipocritamente inganna il proprio popolo dicendo che i “nostri ragazzi” vanno per promuovere la pace e difendere la nostra nazione, di chi compie “missioni chirurgiche” che “sicuramente” non colpiscono i civili, di chi si maschera dietro a nobili pretesti per il controllo di risorse o territori strategici? Sono passati 31 anni dal primo attacco all’Iraq avvenuto il 2 agosto 1990, ed oggi macerie materiali e morali, morti e sfollati e richiedenti asilo senza numero contrassegnano un Medio Oriente ed un Afghanistan devastati e totalmente destabilizzati; un altro drammatico passaggio che segna una nuova pagina della storia.

Precisiamo che non siamo contro gli Stati Uniti d’America, e men che meno contro il suo popolo, ma in quanto cittadini di un occidente che si professa democratico e libero dovremmo avere il coraggio di pretendere risposte sincere e complete da coloro che a suo tempo sostenevano la bontà di queste scelte, che oggi si mostrano fallimentari e scellerate.
E fare tesoro di queste riflessioni nelle nostre comuni scelte future.

A noi la fatica della speranza e la vicinanza ai tanti che anonimamente stanno pagando con la vita o la perdita dei loro cari ciò che i nostri Paesi non hanno saputo prevedere e contenere.

 

Stefano Comazzi, Presidente dell’AMU

 

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